Esplorare vissuti ed esprimerli,
liberando memorie con il corpo e la parola.
Incontrare sé e l’altro nello stimolo reciproco,
riconoscendo sentimenti e bisogni.
Ricostruire esperienze dei propri panorami esistenziali profondi
per aprire spazi interiori di accoglienza amorevole alla vita
nelle sue infinite ed inevitabili manifestazioni.
Contattarsi e costruirsi.
Come spesso accade provo tanto imbarazzo a raccontare la storia della mia vita, per le emozioni che mi travolgono. Vorrei un giorno poter raccolta questa mia storia, tutto ciò che nella vita mi ha fatto soffrire senza le lacrime e senza la voce incrinata. Vorrei che arrivasse il giorno in cui avere un distacco emotivo a tutto ciò, una dignità. In tutti e due gli incontri a Pianconvento ho vissuto le emozioni in modo intenso anche nell’ascoltare gli eventi delle altre. Ecco, io quelle emozioni vorrei non provarle così tanto.
Nonostante ciò in quei contesti mi sento protetta, al sicuro. Condividere mi fa sentire più serena, parlarne mi aiuta a normalizzare anche se tutte le volte il dolore si riaccende.
Parlare anche con persone che non conosco mi aiuta a non sentirmi così tanto sola ed è ciò di cui ho bisogno.
Quello che mi ha colpito è la capacità di alcune persone di mettersi in contatto con il proprio sé in modo così naturale spontaneo. Mi ha colpito il loro modo di comunicare tra di loro, un modo di comunicare a cui aspiro di arrivare un giorno anch’io. Mi sento più arricchita da questi incontri sia mentalmente che nello spirito.
Per mezzo di questi incontri ho capito che c’è un altro modo di essere oltre quello che mi è stato insegnato e inculcato ed è lì che voglio arrivare.
(R.)
Le parole che mi restano dopo l’esperienza sono due:
INTENSITA’ per tre giornate di impegno continuo di esplorazione e ascolto reciproco, per me una fatica, perché legata al riconoscimento di parti di me e di noi un po’ buie e legate al dolore. Questo lavoro faticoso però ha prodotto un clima di sorellanza e affetto e anche una naturale assenza di pregiudizio che non è banale.
Come non è banale, anzi trovo eccezionale, il clima di ACCOGLIENZA, di familiarità e di cura che si respira a Pianconvento e che mi ha lasciato un senso di grande benessere.
Grazie Marzia per averci proposto il seminario
(B.)
L’esperienza fatta con te e il gruppo è stata sicuramente positiva.
Era il mio primo ritiro di quel tipo.
Lo rifarei.
Ci sono stati momenti molto intensi e pieni di sofferenza che ho vissuto in prima persona e in ascolto delle altre.
Mi sono resa conto meglio che tutte abbiamo storie complicate, che la famiglia di origine ha un suo peso decisivo sulla vita di tutte noi.
Nel bene e nel male.
Io che parlo poco e in genere non condivido volentieri le mie emozioni, fatico a conviverci, ho avuto modo di parlarne grazie all’ambiente che si era creato di ascolto attivo e non giudicante.
Ho fatto esperienza di sorellanza.
Ho avuto modo di conoscere vissuti nuovi ed aggiungere fatti di vissuti che conoscevo in parte. Rafforzando i legami.
Tutto il lavoro introspettivo è stato da te sapientemente intercalato con momenti di leggerezza.
In ultimo non posso mancare di dire che il luogo, l’accoglienza, gli spazi, il cibo buonissimo hanno completato il tutto.
(M.)
Incontrarsi con persone sensibili e speciali per diversi giorni è un privilegio particolare.
Quello primario, per la mia esperienza, consiste nella possibilità di uscire dal quotidiano, dagli impegni ripetitivi e frenetici, che consistono soprattutto nel “fare”.
È come entrare in un’altra dimensione, con un respiro più grande e tempi dilatati, più vicini alla mia natura.
È un tempo sospeso in cui si crea una magia, grazie alla presenza di compagni di viaggio anche loro in cammino e in ricerca, con bisogni comuni ed esperienze diverse.
Nel fluire degli scambi, dei dialoghi con le altre persone avverto una risonanza, un riverbero delle storie raccontate.
La fiducia di trovarmi in un posto sicuro e protetto, spesso mi fa scivolare in un sonno particolare, non profondo ma rigeneratore, a tratti mi arrivano echi di parole che mi fanno compagnia e sento che sono benefiche.
Ogni volta mi meraviglio delle esperienze condivise dagli altri, che fanno riflettere sulle nostre personalità così ricche, che reagiscono in modo creativo agli stimoli della vita prendendo percorsi variegati.
Sento un filo che ci lega, nonostante abbiamo età, vissuti e caratteri diversi.
Di sicuro esternare emozioni ed elaborarle con l’ascolto attivo del gruppo mi da sostegno ed energia, mi serve per rincuorarmi, essere solidale, acquisire nuove visioni e chiavi di lettura utili ad evolvere nel mio percorso.
(M.)
L’esperienza di gruppo aiuta molto.
Diventa un’ occasione per entrare in contatto con l’altro e stabilire un legame che nasce da quelle corde che si trovano nel profondo di me e che vengono toccate dall’esperienza dell’altro, che per certi aspetti diventa anche la mia.
Non è comunque facile, la paura di quest’incontro rimane sempre tutte le volte perché mi chiedo sempre se il gruppo ne ha voglia visto che non parlo mai di cose buone e mi sembra sempre di non essere andata avanti ma di essere ferma sullo stesso binario da troppo tempo.
Se comunque non sono predisposta faccio fatica ad entrare in contatto con il gruppo e al tempo stesso a quest’ultimo è richiesto uno sforzo non indifferente per entrare in contatto con me o quantomeno capirmi….se di capire si tratta.
Rimane un’ esperienza di cui sento la mancanza.
E’ un’esperienza dove posso dire a me stessa che finalmente esisto pur nella mia fragilità…dove esisto senza maschere …dove posso contare qualcosa…dove il tempo per me c’è ….
La parte difficile rimane l’espressione corporea e il contatto diretto con l’altro (tipo fare qualcosa con lui/lei)….ma al momento non riesco a scrivere molto su questo aspetto.
Sento solo paura e disagio….un senso di inferiorità.
(I.)
Il GRUPPO
Una bolla all’interno della quale mi è concesso librarmi con tutta LIBERTA’, libera di vedere la mia fragilità e vulnerabilità, libera di piangere quelle lacrime mai uscite
PROTETTA dal gruppo, percepire che non sono giudicata e ove lo sentissi avere la guida per entrare dentro quelle parti di me che mi limitano in quanto autogiudicanti.
Il gruppo come CANALE attraverso cui le storie e i dolori degli altri portano a galla mie emozioni e sensazioni che mi lasciano stupita perché non conosciute, quindi infinite possibilità di scoprirsi nuova ogni volta.
La FORZA che ho sentito, le paure più profonde che da sola sembrano insostenibili il gruppo le scioglie e fa vedere la possibilità di convivere anche con i dolori per me giganti, stimolandomi al miglioramento “interno”.
Il gruppo mi ha dato coscienza delle infinite diversità e quindi molteplici possibilità che da sola non avrei conosciuto né sperimentato.
(V.)
Non puoi sentire l’altro se non riesci a sentire te stesso. O, detto in altri termini, è difficile conoscere gli altri senza avere conosciuto se stessi.
La mia esperienza di lavoro di gruppo, a partire da Rio Abierto, mi porta a dire che il primo aspetto, quello come dire preliminare, è il fatto di essere in gruppo, tutti assieme. Il lavoro di gruppo e nel gruppo caratterizza il lavoro. Il gruppo si muove ed agisce secondo il progetto e sotto la guida di Marzia, che propone di volta in volta il percorso legato allo specifico argomento da affrontare.
L’altro aspetto secondo me fondamentale è rappresentato dall’essere in una condizione “protetta”, dal momento che il gruppo consente e provoca questa condizione particolarmente favorevole. Infatti chi partecipa al gruppo si rende presto conto di potere esprimere se stesso nella massima libertà, dal momento che le condizioni di ciascuno e le regole del gruppo consentono di farlo. Che poi lo si riesca a fare è un altro aspetto. Nel gruppo ci si rende conto in poco tempo che ciascuno dei partecipanti ha i propri problemi e le proprie ritrosie. Poi ci si rende conto di trovarsi nelle stesse condizioni degli altri partecipanti: scoprendo che tutti hanno problemi, magari diversi, ma in fondo ci assomigliamo tutti nelle nostre differenze.
Proprio per questa possibilità e questa libertà di espressione del gruppo e dei singoli nel gruppo rappresenta, secondo me, la massima possibilità di liberare se stessi nel rispetto e nel confronto. E questo lo si nota di più se il gruppo è residenziale, dal momento che questa potenzialità viene ancora di più amplificata.
Non c’è nulla di magico in tutto questo. Chi vuole e chi riesce trova gli altri in ascolto, che non giudicano, che condividono e che spesso ci si riconoscono; e spesso il gruppo si accorge se qualcuno bluffa o partecipa distrattamente.
Il gruppo è capace di generare quella energia che sostiene e nutre tutti i partecipanti; si soffre con chi soffre, si cura chi ha bisogno, si trasmette calore a chi ha freddo. Ma nel gruppo siamo anche curati e siamo anche scaldati.
Nel gruppo, volendo, si impara anche a non avere paura e ad accettare il contatto, che spesso ci sembra così difficile da sopportare. Nel rispetto dell’altro si impara a toccare, a massaggiare, a sfiorare e a lasciarsi toccare, massaggiare e sfiorare. E a sentire il piacere nel dare e nel ricevere il tocco e il calore.
(M.)
Quando mi fu proposto il lavoro psicologico di gruppo, in verità, pur essendo persona che gradisce la condivisione, mi indusse ad un momento di riflessione; si trattava di parlare di sé e di andare alle origini di ogni fastidio, dolore, consuetudine e trauma e lasciarsi condurre alla riemersione di cose velate o per sopravvivenza o per oblio, quest’ultimo non dimenticato dalla parte più profonda dell’inconscio, tutto ciò ovviamente espresso in una piazza protetta, ma sempre fuori.
L’esperienza è stata fruttuosa, infatti la ripeto periodicamente, imparando molto dai racconti dei partecipanti che inevitabilmente sollecitano sfumature di me che altrimenti non sarebbero mai affiorate. Ho imparato ad elaborare ed a lasciare andare molte cose che per abitudine mi irritavano, ad usare con gli altri il linguaggio che avrei voluto usassero con me, sono meno giudicante, perché le dinamiche del vissuto e delle percezioni a volte (quasi sempre) viaggiano nonostante noi.
Nei gruppi, dove ho partecipato, si creano situazioni a volte imprevedibili e spiazzanti, che mediati mi hanno offerto la possibilità di sostenerli, con fatica, ma alla fine, in maniera positiva per me e per gli altri; in parole spicce “Si impara a stare al mondo imparando a sotterrare l’ascia di guerra con noi e con gli altri”.
Quando si decide di aderire a questa esperienza, dove è necessario ricavarsi del tempo, impegnare risorse economiche, avere voglia di incontrare altre persone, spesso sconosciute, mettersi in gioco fisicamente, aprire i cassetti della propria vita e guardare i cassetti degli altri per rovistare e capire l’ordine di ciò che vi è dentro, lasciandosi guidare da chi dirige i lavori, è necessario essere molto motivati avendo fiducia che tutto ciò vada a far luce negli angoli più nascosti e segreti della nostra psiche, dando a noi la possibilità di alleggerirci di molti fardelli e di cogliere nel racconto degli altri assonanze e possibilità di comprendere cose che in un lavoro individuale non capiremmo, perché a dire le stesse cose con linguaggi differenti dai nostri ci si aprono possibilità di visione che altrimenti non avremmo.
Si fa vita comunitaria, colazioni, pranzi, cene e tisane varie, spesso si dorme con altri e anche questo ci induce a verificare aspetti di noi, insomma a rompere schemi che si pensava invalicabili.
È un’offerta interessante per fare un viaggio nel proprio e altrui sentire, per scoprire che siamo meno soli, non perché “mal comune mezzo gaudio” ma per scoprire la nostra origine e imparare a giudicare sempre meno, perché ognuno di noi è unico e uguale.
(S.)