Quando mi fu proposto il lavoro psicologico di gruppo, in verità, pur essendo persona che gradisce la condivisione, mi indusse ad un momento di riflessione; si trattava di parlare di sé e di andare alle origini di ogni fastidio, dolore, consuetudine e trauma e lasciarsi condurre alla riemersione di cose velate o per sopravvivenza o per oblio, quest’ultimo non dimenticato dalla parte più profonda dell’inconscio, tutto ciò ovviamente espresso in una piazza protetta, ma sempre fuori.
L’esperienza è stata fruttuosa, infatti la ripeto periodicamente, imparando molto dai racconti dei partecipanti che inevitabilmente sollecitano sfumature di me che altrimenti non sarebbero mai affiorate. Ho imparato ad elaborare ed a lasciare andare molte cose che per abitudine mi irritavano, ad usare con gli altri il linguaggio che avrei voluto usassero con me, sono meno giudicante, perché le dinamiche del vissuto e delle percezioni a volte (quasi sempre) viaggiano nonostante noi.
Nei gruppi, dove ho partecipato, si creano situazioni a volte imprevedibili e spiazzanti, che mediati mi hanno offerto la possibilità di sostenerli, con fatica, ma alla fine, in maniera positiva per me e per gli altri; in parole spicce “Si impara a stare al mondo imparando a sotterrare l’ascia di guerra con noi e con gli altri”.
Quando si decide di aderire a questa esperienza, dove è necessario ricavarsi del tempo, impegnare risorse economiche, avere voglia di incontrare altre persone, spesso sconosciute, mettersi in gioco fisicamente, aprire i cassetti della propria vita e guardare i cassetti degli altri per rovistare e capire l’ordine di ciò che vi è dentro, lasciandosi guidare da chi dirige i lavori, è necessario essere molto motivati avendo fiducia che tutto ciò vada a far luce negli angoli più nascosti e segreti della nostra psiche, dando a noi la possibilità di alleggerirci di molti fardelli e di cogliere nel racconto degli altri assonanze e possibilità di comprendere cose che in un lavoro individuale non capiremmo, perché a dire le stesse cose con linguaggi differenti dai nostri ci si aprono possibilità di visione che altrimenti non avremmo.
Si fa vita comunitaria, colazioni, pranzi, cene e tisane varie, spesso si dorme con altri e anche questo ci induce a verificare aspetti di noi, insomma a rompere schemi che si pensava invalicabili.
È un’offerta interessante per fare un viaggio nel proprio e altrui sentire, per scoprire che siamo meno soli, non perché “mal comune mezzo gaudio” ma per scoprire la nostra origine e imparare a giudicare sempre meno, perché ognuno di noi è unico e uguale.
(S.)